Dalle moto alle auto: la svolta al momento giusto
27/03/2018

Dalle moto alle auto: la svolta al momento giusto

Tratto dal libro "Essere già oltre il domani" caratteri e dinamiche del successo imprenditoriale di Lorenzo Bonaldi

Vendere automobili diventa un progetto sempre più presente nella mente dei coniugi Bonaldi. In un mercato dominato dai marchi nazionali è facile capire da che parte andare. Facile e difficile al tempo stesso. 

«Facemmo diverse richieste – spiega la signora Carla –, ma non ci fu possibile ottenere alcuna concessione». 

L’occasione arriverà nei primi mesi del 1959. Lorenzo viene a sapere che l’Autofficina Nespoli di via Palma il vecchio 5 incontra qualche difficoltà nel vendere le sue Volkswagen. Bonaldi coglie l’occasione al volo. Telefona all’Autogerma a Bologna, l’allora importatore ufficiale del marchio tedesco, e chiede un appuntamento con il proprietario, Gerhard Richard Gumpert, e con il suo nuovo direttore commerciale, Sepp Kieswetter. L’offerta è semplice.

«Stavano arrivando in Italia 25 Maggiolino – racconta ancora la signora Carla – e sarebbero state nostre se le avessimo comprate seduta stante. Si parlava di 25 milioni di lire, non certo poca cosa». 

Uno sguardo negli occhi e la decisione è presa. Con il 1° settembre 1959, l’Automototecnica Bonaldi Lorenzo – questa la nuova ragione sociale che recepisce l’estensione dell’attività alle quattro ruote – diventa la concessionaria ufficiale per Bergamo e provincia per la vendita di prodotti Volkswagen e Porsche. È il punto di svolta del percorso imprenditoriale e non solo dell’intera famiglia Bonaldi, la discontinuità che segna l’inizio di un nuovo “ciclo”. Ma in quella tarda estate del ’59 Lorenzo e Carla non lo sanno ancora. Anzi, s’affaccia qualche legittimo dubbio. 

«Siamo andati in dogana a ritirare le macchine – sempre la moglie –: 25 auto sporche e coperte da una cera protettiva per il sole e la pioggia. Con quella forma particolare, erano molto lontane dalle vetture “normali”». 

È stato solo un momento, perché a questo punto l’avventura può iniziare e alcuni numeri di ieri e di oggi esprimono una realtà compiuta: i dipendenti erano fra gli 80 e i 90, oggi sono arrivati a quota 300 con le aperture – a inizio 2017 – della filiale di Sondrio e della Lamborghini a Milano, che si aggiungono alla sede centrale di Bergamo e ai punti vendita di Treviglio, Azzano e Lecco-Garlate. Riavvolgiamo il nastro della memoria e torniamo al debutto: il 19 settembre esce la prima inserzione pubblicitaria su «L’Eco di Bergamo» e i clienti iniziano ad arrivare nella sede di via Angelo Maj. 

«Onesta quattro posti a carattere utilitario. Chi vuole una macchina elegante e sportiva non si rivolga alla Volkswagen; l’acquisti invece chi desidera una macchina di modesto costo d’esercizio». 

Così si concludeva la “Prova su strada” della 1200, il Maggiolino, un nome gentile per un’auto atipica che a poco a poco, dopo la diffidenza iniziale, entra nella confidenza di segmenti della clientela, incontrando gusti trasversali fino al botto finale: una foto del ’64 ritrae il millesimo esemplare venduto a Bergamo, parcheggiato nel cantiere ormai completato della nuova sede. 

Era il novembre del 1956 e il neonato mensile «Quattroruote» aveva voluto vedere da vicino questo modello che tanto successo stava riscuotendo in Europa e negli Stati Uniti. Piaceva per via della sua funzionalità collaudata da anni di esperienza, per l’immutabilità del modello che proteggeva il proprietario da improvvisi e rapidi deprezzamenti e soprattutto poteva contare su un’organizzazione di officine specializzate ramificata in tutto il mondo. La Casa tedesca, inoltre, «era la meglio servita da una rete di servizi di assistenza». In Italia incontrava una serie di difficoltà a farsi largo per via della politica doganale, ma le officine erano già 40 e veniva garantita la fornitura dei pezzi di ricambio entro 24-36 ore dalla richiesta. 

Un inizio durissimo, basti pensare che a fatica si riusciva a vendere 50-60 modelli all’anno. Ci vorrà tempo per rendere conciliabile ciò che, a prima vista, sembrava distante: a poco a poco la curiosità diventa contagiosa e il Maggiolino inizia a piacere ai bergamaschi. L’Automototecnica Bonaldi ne vende 130, un numero destinato a salire anche perché chi lo guida «finisce per amarlo e in questo “amore” c’è una punta di civetteria, un poco di snobismo, poiché amare una vettura d’aspetto non leggiadro è certo originale». 

Originale o no, nel mondo ne circolano più di 4 milioni e in Italia – come puntualizza «Quattroruote» – «è quasi in concorrenza con le vetture della nostra produzione». Uno dei segreti – lo evidenza Franz Kuen, destinato a diventare il direttore commerciale di Autogerma – era l’ottimo lavoro di comunicazione basato sull’affidabilità e sulla semplicità della vettura. Lo slogan, echeggiando quanto aveva detto Henry Ford a proposito del modello T, recitava: «Quello che non c’è non si può rompere» e faceva riferimento, per esempio, alla mancanza della pompa dell’acqua o dell’albero di trasmissione. Sulle strade italiane ormai lo si riconosce e non solo «perché porta i turisti tedeschi in vacanza». 

Dal ’51 al ’60 ne sono state sdoganate quasi 10 mila tra berline e furgoni ed è l’auto straniera più diffusa nel nostro Paese. Volkswagen vuole incrementare le vendite e punta al prezzo: adesso costa 300 mila lire in meno rispetto a 5 anni prima. L’arrivo della Volkswagen porta ad una riorganizzazione dello spazio aziendale. Gerolamo Calzi entra in Bonaldi nel settembre del 1961: ha poco più di 14 anni ed è apprendista: 

«Le macchine stavano sul piano strada, l’officina per le moto era sotto. Non c’erano molti modelli oltre al Maggiolino, ricordo i Transporter, la Karmann Ghia e la prima Porsche, la “356”». Al lavoro ci va in bicicletta, 13 km ad andare e 13 a tornare: «L’importante era arrivare puntuale per le 8. Si lavorava fino a mezzogiorno, poi dalle 2 fino alle 5 e mezzo o le 6». 

Con lui, una decina di operai (spesso costretti da ragioni di spazio a spostarsi lungo via Manzoni), mentre quelli delle moto arrivavano a 20 o forse più. La divisione è netta: «Guzzi con Guzzi, Volkswagen con Volkswagen». Nell’officina delle moto si parla solo dialetto stretto, mentre al piano sopra il capo officina Luigi Zilioli arriva da Parma e De Santis, collaudatore, addirittura da Bari. Completano la squadra la signora Carla e due impiegate che lavorano al primo piano. 

«Il signor Bonaldi creava un rapporto speciale – sottolinea Calzi – ed era un ottimo venditore. Di lui, come dei suoi fidati collaboratori, il ragionier Mario Lanzi (nome storico dell’azienda) e l’Arrigoni, si aveva subito fiducia e questo è quello che piaceva ai clienti».

La società gira alla perfezione. Le moto garantiscono entrate continue, e più che discrete, e la vendita di auto cresce senza interruzioni. Nel 1962 la Bonaldi vende 680 veicoli, l’anno dopo sono quasi 1.100, compreso un 15-20% di furgoni e pulmini adibiti al trasporto dei tanti muratori bergamaschi che ogni mattina raggiungono Milano: un’attività, questa, tipica della nostra terra, a tal punto da essere quasi proverbiale e sicuramente identitaria. 

Sono numeri importanti che garantiscono a Lorenzo una buona visibilità commerciale e i primi riconoscimenti pubblici. Il 2 giugno 1961, infatti, viene insignito del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana. Una conquista offuscata da un grande dolore, la scomparsa della mamma, che muore il 9 dicembre dello stesso anno. Ma proprio l’affetto e i ricordi lo incalzano a dare il meglio di se stesso, perché era questo il lascito di sua madre. Moto, poi auto e, nella primavera del ’62, anche macchine agricole, parti di ricambio e accessori. È il suo modo di affrontare l’esistenza: gestirla con ottimismo e determinazione.

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